Scalini

Tratto da “Come un treno nella notte” – Luca D. Lindemann


Seduto in un angolo, in fondo al lungo ripiano destinato al trucco degli artisti, Sam li osservava muoversi freneticamente come animali esotici prima di essere liberati. Chi si guardava allo specchio enorme sistemandosi gli eccentrici abiti di scena con gesti nervosi, chi pasticciava con le lunghe ciocche di capelli inseguito dalle imprecazioni delle truccatrici che non riuscivano a terminare il proprio lavoro.
Per sei componenti della band si muovevano, in quella stanza stretta ed anonima dell’arena, un numero indefinito di persone al loro seguito.
Ogni tanto Pat si girava verso Sam e gli schiacciava l’occhiolino, forse più per scaricare la tensione che per ricordarsi della sua presenza.
Un vecchio orologio sopra la porta d’entrata, semplice quanto preciso, faceva il conto alla rovescia e senza grandi proclami sonori mostrava i pochi minuti restanti all’inizio dello spettacolo.
Improvvisamente un ragazzo tarchiato, di chiare origini sudamericane, aprì di colpo la porta e, urlando una parola incomprensibile, la richiuse subito dopo: per un attimo Sam ebbe l’impressione che fosse un attributo dell’orologio, una sorta di cucù umano.
Cominciarono tutti a battere le mani nervosamente per darsi la carica, chi urlando frasi degne di un match di boxe, chi intonando passaggi dei brani che avrebbero suonato da lì a poco, per sciogliere la voce.
Tom, il manager, li raccolse al centro della stanza ormai satura di cacofonica adrenalina mentre i muri del complesso cominciavano a vibrare dei boati sempre più incalzanti del pubblico in attesa; poche parole, guardandoli negli occhi, pacche sulle spalle e una serie di “hi-five” mentre, senza che nessuno se ne accorgesse, il resto della squadra di truccatrici e *rodie era letteralmente sparito.
Pat, con movenze feline, prese la sua chitarra stringendola al petto come fosse una fidanzata, infilò in testa il consueto cappello a cilindro e con uno sguardo traboccante di energia si voltò verso Sam:
– Sam! Sam! Sei pronto ragazzo? – Urlandogli in faccia con un sorriso eccitato.
Sam lo guardò ridendo ma rimase composto come una statua, perché in quel momento non gli uscì nulla. Assolutamente nulla. Era totalmente assorbito e travolto dalla loro eccitazione che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata inutile e tramortita da un inglese sicuramente inadeguato.
Li seguì velocemente fuori dalla stanza mentre Michael misurava tutti i muri che incontrava rullandoci sopra con le bacchette. In fondo al lungo corridoio li aspettava un fortissimo bagliore che sembrava inghiottirli passo dopo passo. Pat rallentò un poco per affiancare Sam in fondo alla fila. Fu un gesto che lo spiazzò. Guardò Sam, gli sorrise, gli passò la mano sinistra sulle spalle e con il suo lungo braccio lo strinse a sé. Forse aveva solo bisogno di scaricare la tensione, forse aveva bisogno di una persona appena conosciuta per trasmettere vecchie sensazioni. O più semplicemente gli era simpatico e gli era piaciuto la sera prima al club quando lo aveva sentito suonare.
Erano ormai arrivati ai piedi della scaletta che portava al palco. L’onda sonora che rimbalzava all’interno del catino umano era talmente densa che sembrava farli ondeggiare. Pat prese la sua chitarra per il manico, e prima di mettere il piede sul primo scalino si girò verso Sam:
– Sam, Sam, lo senti questo? – guardandolo fisso negli occhi. In quel momento sentì solo la sua voce. Era ipnotizzato a tal punto che tutto l’assordante contesto intorno era sparito.
– Sam, lo puoi sentire anche tu, vero? Senti questo momento? – I suoi occhi si fecero due fessure, sottili come due arnesi affilati capaci di penetrare qualsiasi pensiero, scardinare qualsiasi difesa. Cominciò a muovere la testa al ritmo dei cori del pubblico, riaprì gli occhi e disse:
– Sam, io vivo per questo momento. Nessuna macchina sportiva, nessuna villa con piscina, nessuna ragazza da paginone centrale… nulla di quelle cose ti può dare questo. I pochi scalini che mi separano da loro sono i tre secondi più belli che questa passione ti possa regalare. Ed ogni volta mi sembrano diversi, più intensi, più eccitanti. Da più di trent’anni.
Sorridendogli, Pat si voltò e puntò verso il palco. Quando sparì dalla sua vista brandendo al cielo la chitarra, un boato esplose strappando Sam da quello stato ipnotico.
Dall’alto della scaletta, il manager richiamò la sua attenzione e con movimenti frenetici delle braccia lo invitò a salire.
Sam guardò quegli scalini, indugiò per un attimo mentre il cuore gli batteva talmente forte che per un istante credette fosse sincronizzato con il ritmo della batteria di Michael. Salì quegli scalini e immaginò il suo momento; immaginò la sua vita alternativa, sognò di avere le bacchette in mano. Se solo avesse deciso di prendere quell’altro treno.
Tom lo recuperò per un braccio e lo tirò verso il lato del palco, nella penombra delle quinte dove tutto il team al seguito era ordinato e composto pronto per risolvere qualunque intoppo.
Sam osservava la sagoma di Pat disegnata dai giochi di luce danzare sull’entusiasmo dei fan che cantavano insieme a lui ogni singola canzone. I suoi lunghi capelli e la sua figura filiforme ondeggiavano insieme al flusso della musica, insieme a Tom, Michael, John e al resto della band. Un concerto di forme, suoni e colori perfettamente in armonia tra loro. Ancora, dopo tutti quegli anni insieme.
Sam pensò per un attimo ai suoi ElettraFunk, pensò a Gianluca, Andrea, Luca e a quello che sarebbe potuto essere. Musica diversa, pubblico diverso, ok, ma stessa passione. Una passione che non serve a comprare quelle cose che Pat aveva elencato poco prima.
No, Sam lo sapeva bene. Forse era proprio per questo motivo che tra loro due si era creata una certa empatia. Si erano riconosciuti. Pat, appartenente alla storia della West Coast Music americana, famoso in tutto il mondo grazie alla sua band e Sam, uno sconosciuto architetto di Milano con una “bella botta e un gran groove”, come si era complimentato la sera prima nel locale lo stesso chitarrista.

La limousine accompagnò Sam al suo Motel alle porte di Chicago, dove alloggiava. Una modesta sistemazione ma molto ordinata e pulita, con la possibilità di ricoverare la moto al coperto ad una cifra onesta.
Mentre Sam aprì la porta dell’auto per scendere, l’autista fece scorrere elettricamente il vetro che li separava e lo richiamò:
– Signor Durante – lentamente, per farsi capire – il signor Hurling mi ha pregato di darle questo, prima di lasciarla alla sua destinazione.
Sam prese il foglietto e lo aprì chiedendosi chi fosse mai il Signor Hurling:
“Non prendere impegni per domani e chiama Pat a questo numero 212 674 846 dopo le 11 am”. Firmato Tom.
Sam era convinto che non avrebbe più visto il suo nuovo e famoso amico dopo quella sera. Invece si era premurato di dire a Tom di avvisarlo e di lasciargli un messaggio per un misterioso appuntamento. Sam, visibilmente spiazzato, ringraziò l’autista e scese. Buttò un occhio sotto il portico dove aveva parcheggiato la moto e salì le scale ancora frastornato dalle emozioni. Nella camera del motel si sedette sul letto e fissando il biglietto ancora una volta non poteva credere a ciò che aveva appena vissuto.
Si affacciò alla finestra e fissò lo skyline notturno di Chicago disegnato dalle luci dei grattacieli. Di dormire non se ne parlava.
Prese il casco, scese, inforcò la moto e puntò verso il lago Michigan senza una meta precisa. Nel casco partì un brano dei Doobie Brothers, “For Someone Special”.

Neanche a farlo apposta.

 

[*] I rodie sono solitamente dei ragazzi che si prendono cura della strumentazione dei musicisti durante i tour.

30 Gennaio 2019

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